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András Nagy

Autor de A Bang-Jensen ügy

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Obras de András Nagy

A Bang-Jensen ügy (2005) 4 copias
Savonarola-kísérlet (1982) 1 copia
Savonarola 1 copia
Kis szörnyesztétika (1989) 1 copia
Savonarola (1980) 1 copia

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On the Path of Béla Bartók : Epilogue to the Film Roots (2002) — Diseñador, algunas ediciones2 copias

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Il caso Bang-Jensen. Ungheria 1956, un Paese lasciato solo è il brillante risultato di 10 anni di ricerche che lo scrittore, drammaturgo e filosofo András Nagy, nato proprio nel 1956, ha svolto in archivi di tutto il mondo. János Rainer, il direttore del prestigioso Istituto 1956 di Budapest, l’ha definito un libro d’avanguardia, appartenente a quella terza generazione di scritti sul ’56 che prescindendo dalle esperienze personali si basano sulle fonti d’archivio divenute accessibili dopo il 1989.

Il caso Bang-Jensen apparentemente è un giallo storico sulla misteriosa morte del diplomatico danese Povl Bang-Jensen. Presto però diventa un saggio romanzato che attraverso la vicenda personale di Bang-Jensen ripercorre la storia della rivoluzione ungherese, della crudele repressione messa in atto dal governo Kádár dopo la sconfitta, delle iniziative o piuttosto della loro assenza da parte del mondo ritenuto libero e soprattutto dell’ONU, l’organizzazione internazionale costituita nel 1945 proprio per trovare delle risposte in casi come quello ungherese dell’autunno del 1956 e negli anni del terrore che seguirono l’invasione sovietica. Anche in considerazione del fatto che l’Ungheria ne era membro dal 1955.

Povl Bang-Jensen viene trovato morto in un parco pubblico di New York il 26 novembre del 1959. La morte è stata causata da un colpo di pistola alla tempia, la pistola era nella mano destra dell’uomo noto come mancino. E non era l’unico dettaglio inquietante di questa morte che la polizia dopo frettolose indagini attribuirà a suicidio. Bang-Jensen, padre felice di cinque figli e marito impeccabile, era scomparso da casa tre giorni prima, ma l’uomo aveva la barba fatta e indossava una camicia pulita. Gli viene trovata addosso anche una lettera d’addio, ma due anni prima aveva avvisato sua moglie Helen che non avrebbe mai commesso suicidio e nel caso fosse stato trovato morto ogni indicazione al suicidio doveva essere ritenuta falsa. La lettera conteneva alcuni elementi veramente enigmatici e l’autopsia eseguita con sospetta superficialità rivelava la presenza di un liquido marrone nello stomaco, una sostanza impiegata dai servizi segreti dell’Est per piegare la volontà.

Povl Bang-Jensen nasce nel 1909. Negli anni ’30 inizia la carriera diplomatica presso l’Ambasciata danese a Washington. Durante la Seconda Guerra mondiale prende posizione contro il proprio governo collaborazionista ed entra a far parte del governo d’emigrazione che porta la flotta danese in porto neutrale e cede temporaneamente la Groenlandia agli Stati Uniti per motivi strategici. Dopo la guerra prende servizio all’ONU e sarà nominato segretario della commissione dei Cinque istituita per far luce sulla rivolta ungherese. Con l’aiuto di interpreti Bang-Jensen interrogherà 111 rivoluzionari ungheresi emigrati le cui testimonianze formeranno la base del rapporto che la commissione pubblicherà nel giugno del 1957 e che tuttora è un documento fondamentale per la ricostruzione e la comprensione degli eventi ungheresi dell’autunno del ’56.

Con l’eccezione di Anna Kéthly, Béla Király e József Kövàgò, che resero testimonianza pubblicamente nel Palazzo di Vetro e di 27 che deposero la loro testimonianza dichiarando le proprie generalità, ma a porte chiuse, gli altri testimoni accettarono di rendere testimonianza solo in forma anonima per paura di ritorsioni anche nei confronti dei familiari rimasti in patria. Bang-Jensen assicurava loro l’anonimato grazie a un sistema di identificazione per cui solo lui conosceva l’identità dei singoli testimoni. Quando nell’autunno del ’57 i suoi superiori all’ONU gli chiesero di consegnare l’elenco dei testimoni, rifiutò forte della convinzione che i servizi segreti sovietici tenessero sotto controllo i vertici dell’ONU. Questa sua convinzione veniva rafforzata da particolari che, con il passare del tempo, divenivano sempre più numerosi e toglievano ogni dubbio.

Nel suo libro András Nagy dimostra che l’ONU non solo non ha svolto la sua funzione istituzionale a favore dell’autodeterminazione del popolo ungherese oppresso, ma ha fatto capire agli oppressori di poter procedere indisturbati, in quanto l’organizzazione mondiale e con essa il mondo occidentale, non avrebbe voluto rimettere in discussione i delicati equilibri delineati a Yalta. Nella storia della crisi di Suez però, che si svolse contemporaneamente a quella ungherese, la stessa organizzazione mondiale espletò il proprio ruolo con tempestività ed efficacia.

Nel libro non viene affermato che l’intervento dell’ONU, chiesto peraltro da Imre Nagy solo quando ormai non poteva più sperare in un accordo con i sovietici, avrebbe portato la rivoluzione alla vittoria, bensì che avrebbe potuto mitigare le ritorsioni degli anni immediatamente successivi all’invasione sovietica. La vigilanza attiva dell’ONU sul governo di Kádár avrebbe evitato lo sprofondare del Paese nel clima di terrore.

Bang-Jensen si rende presto conto della passività dei vertici dell’ONU, la attribuisce correttamente alla pesante influenza, all’infiltrazione sovietica ai massimi livelli. I suoi sospetti prendono sempre più corpo, parla di sabotaggio all’interno delle Nazioni Unite, che rispondono con ritorsioni nei suoi confronti. Lo sottopongono a provvedimenti disciplinari per la mancata consegna dell’elenco dei testimoni ed istituiscono persino una commissione d’inchiesta sul suo operato, la cui legalità è però fortemente dubbia. Distorcono le sue risposte alle domande, guardie di sicurezza lo accompagnano fuori dal Palazzo di Vetro, cambiano la serratura della porta del suo ufficio, lo umiliano in ogni modo possibile. Bang-Jensen però non sembra incline alla resa, sente di avere un compito da svolgere per conto di un popolo che non è il suo e non lo abbandona nemmeno in prossimità della morte.

L’opera di András Nagy, che non è soltanto un saggio storico preciso e molto ben documentato, ma presenta tutti i pregi di un’opera letteraria di qualità, ci offre un quadro completo della situazione internazionale tra il ’56 e il ’59. Si delineano gli equilibri tra le grandi potenze sempre sul punto di rompersi sotto la costante minaccia del pericolo di una nuova guerra, veniamo a conoscere da vicino quelle figure che muovevano le fila della storia della guerra fredda come Eisenhower, i fratelli Dulles, Kruscev e soprattutto Dag Hammarskjöld, segretario generale dell’ONU per due mandati, scandinavo come Bang-Jensen e al quale quest’ultimo si rivolge anche di persona, senza ricevere però udienza.

E’ molto veritiera la descrizione del clima politico-sociale-culturale degli anni della repressione in Ungheria ed è particolarmente toccante il racconto di alcuni episodi drammatici come quello della visita di István Bibó alle rappresentanze diplomatiche presenti a Budapest nei giorni immediatamente successivi al 4 novembre, data dell’invasione sovietica.

Il ricordo di Bang-Jensen, autentico eroe della rivolta ungherese del 1956, è stato finalmente elevato al livello di memoria collettiva. Un suo busto è stato collocato all’interno del Ministero degli Esteri di Budapest, gli è stato reso onore con una lapide commemorativa nella famosa parcella 301 del cimitero di Rákoskeresztùr e una targa lo ricorda anche nel vicolo Corvin di Budapest, teatro di sanguinose battaglie nell’autunno del ’56.

Chiudo con la citazione delle ultime righe del libro:
“Dietro la maschera illusoria di essere il tutore dei diritti e della libertà, si celava la vera faccia della politica dell’ONU: quella pragmatica, indifferente, cinica.
E’ il mondo a morire un poco alla volta, a causa di tante piccole, terribili morti disperate.
Queste diventano storia, che naturalmente parla di illusioni.”
… (más)
 
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pecs | Aug 2, 2008 |

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