Come da titolo, in questo piccolo libro – con testo a fronte, ampia introduzione e una traduzione di Tommaso Landolfi bella ma qua e là in po’ arcaicizzante – sono contenuti due racconti. Il primo è praticamente perfetto: uno spunto che richiama il sovrannaturale (un uomo si sveglia la mattina senza naso) lasciando del tutto fuori dalle pagine qualsiasi riferimento al sovrannaturale. Un’operazione effettuata in una serie di riscritture in cui l’autore ha via via sempre più nascosto l’elemento fantastico per concentrarsi sulle umane debolezze dei personaggi - a partire da quello principale, il vanesio assessore Kovalev, fino a tutti i coprotagonisti - e sulla descrizione ironica della società nel suo complesso, come nell’episodio ironicamente amaro dell’annuncio sul giornale. Perché poi Gogol’ abbia scelto di far sparire proprio un naso può essere dedotto guardandone un ritratto di profilo… Meno bello è invece ‘Il ritratto’, che sconta pesantemente le incertezze della seconda parte. La prima è assai ben fatta, grazie a un’atmosfera alla Poe che avvolge la parabola del pittore Certkov, dalla miseria alla ricchezza e infine a precipizio nella follia tutto grazie all’influsso malefico dell’oggetto del titolo. L’autore approfitta del tema per spargere ancora una volta la sua ironia sulla media e alta società dei suoi tempi, oltre che per mettere in chiaro le sue idee sull’arte, ma non perde mai di vista la tensione interna e la sottile inquietudine che ne deriva. Purtroppo, questa magia si perde nel prosieguo, dove il verboso figlio del pittore che ha dipinto il quadro racconta le peripezie che ne sono all’origine: gli intenti didascalici sono più evidenti e la storia gira un po’ a vuoto, sommersa dall’alluvione di parole che appesantisce in maniera irreparabile la narrazione. ( )