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[da "Romolo il Grande"] ROMOLO Non sono le notizie a sconvolgere il mondo. Sono i fatti, e quelli non possiamo cambiarli perché quando le notizie arrivano sono già accaduti. Le notizie non fanno altro che mettere in agitazione la gente. È meglio quindi farne il più possibile a meno!
[da "Romolo il Grande"] ROMOLO Lo Stato si fa chiamare patria ogni volta che si accinge a compiere dei massacri.
[da "Il matrimonio del signor Mississippi"] IL MINISTRO … Alla plebaglia piace l'ebbrezza sanguinaria degli inizi, le speranze smodate, l'avventura sfrenata, ma da un certo momento della rivolta in poi, il favore delle masse prende un'altra direzione. Se prima si scaldava per la smania di ottenere sempre di più, ora si raffredda per la paura di perdere tutto: un momento esattamente prevedibile, un'occasione d'oro per chi vuole presentarsi come il difensore dell'ordine costituito.
[da "Un angelo è sceso a Babilonia"] L'ANGELO Al cielo, i re non interessano. Quanto più povero invece è un essere umano, tanto più è gradito al cielo. IL RE (sorpreso) Perché mai? L'ANGELO (riflette) Non ne ho idea. (Continua a riflettere) Veramente è una cosa alquanto strana. …
[da "Un angelo è sceso a Babilonia"] L'ARCIMINISTRO (inchinandosi) Quanto più spesso un uomo politico si contraddice, tanto più grande è il suo valore.
[da "Ritratto di un pianeta"] ABELE Combattendo nella giungla, noi combattiamo una guerra indiretta, poiché non possiamo più permetterci una guerra diretta. CAINO Nessuno può più permettersi una guerra di tutti contro tutti. ABELE La guerra nella giungla è la forma che assume la nostra convivenza pacifica. CAINO Oggi il mondo è in una situazione tragica. ABELE Una potenza mondiale può permettersi una sconfitta militare solo se ha l'aspetto di una vittoria politica.
[da "Il complice"] BOSS … Che Doc non si sia reso conto con chi andava a letto è un'altra questione: quando mai un intellettuale ha capito come vanno le cose a questo mondo? La sua utilità è proprio questa! … Ann era il punto debole di Doc. Perché lui si permetteva di avere una cattiva coscienza. Come tutti gli intellettuali. È gente che dal mondo pretende contemporaneamente due cose: che sia com'è e come dovrebbe essere. Vivono del mondo com'è, ma quel mondo che li fa vivere essi lo condannano in base alla loro idea di come dovrebbe essere, si sentono colpevoli e nello stesso tempo si dichiarano esenti da ogni colpa. È un trucco che conosco bene: è gentaglia incapace di affrontare la lotta per il potere. Sguazzano nei loro complessi di colpa, si sentono responsabili addirittura di come è stato creato il mondo, ma il loro è un senso di colpa solo immaginario, è un lusso che si concedono per poi scantonare di fronte a ogni azione pratica.
[da "La dilazione"] [presentazione] … Per il teatro, non per la realtà, tutto è reale. Chi pretende la stessa realtà tanto per il testro quanto per la realtà, come fanno ad esempio i nostri odierni ideologi teatrali, non capisce né il testro né la realtà. Confonde la realtà con la drammaturgia, imponendo quest'ultima nella stessa misura sia al teatro che alla realtà. Quello che veramente hanno in comune tanto il teatro quanto la realtà – è il motivo per cui il teatro cerca sempre di portare in scena la realtà – è l'irrealtà sia dell'uno che dell'altra. Il teatro fa uno sforzo sempre più disperato per tenersi al passo con l'irrealtà della realtà odierna. Il teatro può inventare tutte le irrealtà che vuole, la realtà lo supera in ogni caso. È da questa gara che è nata anche la presente commedia. I suoi motivi provengono dall'irrealtà in cui la realtà si va perdendo. Ho sempre affermato che la nostra realtà, ormai, si riesce a coglierla solo con la commedia, cioè con qualcosa di sintetico anziché di analitico, e solo la commedia è sintetica. … Ciò che metto nelle mie commedie è secondario in quanto, per intendere il mio mondo teatrale, non occorre alcuna filosofia, anche quando vi è pur nascosta una filosofia; occorre però quell'immaginazione che è lecito continuare ad attribuire a ogni spettatore, sia esso incline a riflettere o soltanto a godere: la fantasia cioè di scoprire la realtà dentro la finzione scenica. Ma ciò è possibile solo se si mette in scena come si deve. Lo stile lo fornisco io, non occorre che lo metta il regista.
[dal Commento a "Ritratto di un pianeta"] … Quanto più invecchio, tanto più odio l'aspetto letterario del teatro, la retorica, le belle massime e le belle battute. Rinuncio sempre più a quei trucchi della drammaturgia per cui gli attori vengono costretti a rappresentare sul palcoscenico dei personaggi che, quando parlano, diventano degli esibizionisti. Nel mio teatro cerco di mostrare le cose in modo sempre più semplice, di diventare sempre più parco, di tralasciare sempre di più, di accennare soltanto. Per me la tensione fra le singole battute è diventata più importante delle battute stesse. La mia drammaturgia procede non attraverso battute, ma tra una battuta e l'altra, dal punto di vista dell'attore. Mi affido più all'efficacia dell'attore che alla letteratura. Gli metto in bocca delle battute che non vorrebbero essere altro che l'estremo risultato della sua interpretazione. Io includo la letteratura nell'azione drammatica e non viceversa. Per me il palcoscenico è uno strumento per fare del teatro, non un podio per fare della letteratura. … Rinuncio alla letteratura in nome del teatro, la letteratura oggi la fanno i critici.
[dal Commento a "La dilazione"] … Scrivere significa stabilire dei nessi che si affacciano alla mente in modo casuale e quindi inevitabile, e questo avviene perché tutto, il passato e il presente, ciò che si è pensato una volta e si pensa in questo momento, le figure concepite in passato e quelle di adesso, tutto è strettamente connesso.