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Frostquake: The frozen winter of 1962 and…
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Frostquake: The frozen winter of 1962 and how Britain emerged a different country (edición 2021)

por Juliet Nicolson (Autor)

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Exhilarating and rich narrative non-fiction that brings to light a dramatic and pivotal moment in our social, political and cultural history for the first time ** THE SUNDAY TIMES BESTSELLER ** 'This book is a must' Peter Hennessy On Boxing Day 1962, when Juliet Nicolson was eight years old, the snow began to fall. It did not stop for ten weeks. It wasn't just the weather that was bad. The threat of nuclear war had reached its terrifying height with the recent Cuban Missile Crisis, unemployment was on the rise and de Gaulle was blocking Britain from joining the European Economic Community. And yet underneath the frozen surface, new life was beginning to stir. Satirists threatened the complacent decadence of the British establishment. A game-changing band from Liverpool topped the charts, becoming the ultimate symbol of an exuberant youthquake. And the Profumo Affair exposed racial and sexual prejudice. When the thaw came, ten weeks of extraordinary weather had acted as a catalyst between two distinct eras. From poets to pop stars, shopkeepers to schoolchildren, and her own family's experiences, Juliet Nicolson traces the hardship of that frozen winter and the emancipation that followed. That spring, new life was unleashed, along with freedoms we take for granted today. A 'book to look out for in 2021' in The Times & Sunday Times… (más)
Miembro:Caroline_McElwee
Título:Frostquake: The frozen winter of 1962 and how Britain emerged a different country
Autores:Juliet Nicolson (Autor)
Información:Chatto & Windus (2021), 368 pages
Colecciones:Read 2021 (my own collection), Tu biblioteca, Read (of my library)
Valoración:****
Etiquetas:1960s, history, 2021

Información de la obra

Frostquake por Juliet Nicolson

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C’ero anche io in Inghilterra, il Santo Stefano del 1962, quando la caduta della neve fu tanta da poter dire che fu come un terremoto, un “frostquake”. Così lo chiama lei, Juliet Nicolson, una nota giornalista e scrittrice inglese, autrice di questo libro di cui vedete la copertina qui a fianco. Aveva otto anni, io ne avevo 23.

Non smise di nevicare per dieci settimane. Nella regione dell’East Sussex la coltre bianca superò i sette metri. A Londra, i distributori di latte effettuavano consegne con gli sci.
A Dartmoor 2.000 pony furono sepolti nella neve e le volpi affamate mangiarono le pecore vive. Ma non fu solo questo a caratterizzare la vita di quel fine anno. C’era in giro anche la minaccia di una guerra nucleare. La crisi di Cuba, con i relativi missili atomici in giro, creava grande tensione.

La disoccupazione era in aumento, Charles de Gaulle si ostinava ad impedire alla Gran Bretagna di aderire alla Comunità Economica Europea, Winston Churchill, era ancora il simbolo della Gran Bretagna, ma sarebbe presto sparito dalla scena politica. Queste e tante altre ombre incombevano su un paese paralizzato dal gasolio congelato, i tubi e le condutture di ogni tipo scoppiati, le lunghe interruzioni di energia elettrica.

Eppure, sotto la superficie ghiacciata, una nuova vita cominciava a muoversi. Una nuova generazione di spiriti critici minacciava la compiacente decadenza dell’establishment britannico.
Una “band” rivoluzionaria di Liverpool aveva iniziato a scalare le classifiche musicali diventando il simbolo per eccellenza di un esuberante terremoto musicale giovanile. Scandali come l’affare Profumo avevano smascherato pregiudizi razziali e sessuali. Quando arrivò questo “terremoto di neve” durato dieci settimane, fu il segnale della creazione di uno spartiacque tra due epoche distinte e diverse.

Dai poeti alle pop star, dai negozianti agli studenti e alla vita della sua famiglia, la scrittrice Juliet Nicolson in questo suo libro mi fa rivivere le difficoltà di quell’inverno gelido e i grandi cambiamenti che ne seguirono. La primavera che venne fece nascere una nuova vita, insieme alle libertà che oggi diamo per scontate.Ho detto all’inizio che c’ero anche io. Ricordo di avere scritto una lettera a mia madre nella quale cercavo di descrivere la situazione in cui mi trovavo.
Ero finito in un ospedale mentale a nord di Londra, nell’antica citta romana di Verulamium, la moderna St. Albans.

Non come paziente, ovviamente, ma come studente della lingua inglese, diventato “nurse” per guadagnarmi da vivere. Le scrissi che eravamo intrappolati e dissi che “in questo paese non sarebbe mai più uscito il sole”. Rileggo quella lettera e non mi sembra vero di averla scritta io, su quella carta da lettere azzurra che compravo in città nel negozio di cancelleria della catena “Smiths & Sons”.

La Nicolson fa le sue descrizioni, io rivedo le mie e cerco di trascriverle dopo di aver letto alcuni estratti del suo bel libro. Già in altre occasioni ho avuto modo di parlare di questo tempo trascorso in Inghilterra come “student nurse” in quell’ospedale chiamato Harperbury Hospital, ora un derelict place.
Abitavo in un edificio di tre piani chiamato “staff block”, per il personale residente. Un luogo dotato di ogni sorta di comfort in una vasta area che formava il grande parco in zona ospedaliera. L’edificio dove alloggiavamo aveva una sala ristorante, un salotto, una sala giochi, lavanderia, telefono e tv. Sul retro dell’edificio c’era un campo da tennis in terra battuta, uno spettacolare prato da bowling, una cafetteria con piscina, un vero e proprio club.

Io vivevo in una piccola stanza arredata al piano terra. Ogni corridoio era riservato a cinque residenti ed era dotato di servizi comuni con docce, bagni e lavanderia. Dalla finestra della mia stanza potevo vedere l’orizzonte del grande parco nel quale erano state costruite innumerevoli villette chiamate “ward”, tutte numerate, nelle quali erano ospitati i pazienti. Ogni “ward” ospitava un limitato numero di pazienti, in carica ad un responsabile “charge nurse”, coadiuvato da assistenti, studenti o professionisti diplomati.

Il numero di pazienti, il loro stato di salute fisica e mentale condizionava il numero del personale. Tutti pazienti di sesso maschile da questa parte del parco. Dall’altra parte, oltre il grande edificio riservato agli uffici amministrativi, laboratori, biblioteca e scuola, si dispiegava l’area riservata alle “ward” con i pazienti di sesso femminile.

In tutto eravamo una comunità di oltre tremila persone. C’era anche una fattoria agricola, un centro di ricerca e studi, una centrale elettrica. Mi sono prolungato nella descrizione per far capire a chi legge cosa accadde quando si verificò il “terremoto”, quello che l’autrice del libro chiama “frostquake”. Tutto accadde in una notte. Quando mi svegliavo, ero solito tirare la tenda della mia finestra per guardare l’orizzonte. Scoprii quella mattina che dietro i vetri c’era un muro bianco: la neve.

Una sensazione che ricordo ancora oggi, come un colpo allo stomaco, un senso di vuoto ed una compressione. Aprii la porta, mi affacciai nel corridoio per guardare dalle finestre che davano sul campo da tennis e vidi che il muro di neve arrivava fino al limite. Si intravedeva solamente uno spicchio di luce. Uscirono gli altri dalle loro stanze e ci rendemmo conto che eravamo isolati. In fondo al corridoio, verso la porta di uscita stavano spalando la neve per cercare di aprire un varco. Una fitta, grigia nebbia era calata, la potevi tagliare con il coltello …

La scrittura di Nicolson è energica e coinvolgente. Accumulando piccoli dettagli dà vita a una moltitudine di scene che lei lega alla realtà di oggi, a distanza di mezzo secolo. Secondo il suo progetto di scrittura, questo “frostquake” segna lo spartiacque tra l’Inghilterra di allora e quella di oggi.

Innumerevoli sono i cambianenti, le mutazioni, le trasformazioni di un Paese dal quale io potevo comunicare solo per lettera. A casa, noi in Italia, non avevamo ancora il telefono e, se non ricordo male, nemmeno la TV. Io, invece, nel salotto di “Harperbury” potevo litigare con i colleghi e amici di svariate nazionalità, se vedere BBC1, BBC2, oppure ITV.

Nonostante i muri di neve e l’isolamento che dovemmo subire per diverse settimane, i servizi essenziali continuarono a funzionare. Ricordo che alcuni elicotteri sorvolarono il nostro e gli altri ospedali dell’area, lanciarono pacchi di rifornimenti e la posta che non mancò mai di arrivare da casa. Nicolson nel suo libro, passando in rassegna molti eventi, sostiene che quello fu un periodo fatidico che portò ai grandi successivi cambiamenti del suo Paese.

Il suo libro tocca i temi della politica, dell’economia, del cambiamento sociale, dei mutamenti sessuali, la moda, la musica, il costume, la letteratura. Da poco era uscita l’edizione economica di un libro che si era occupato di sesso in maniera ritenuta scandalosa, “L’amante di Lady Chatterly”. Oggi lo puoi trovare anche nella bibliooteca della parrocchia. Lei lo chiama il “Great Freeze”, il grande freddo, il “terremoto” che ha preannunciato, se non provocato, un cambiamento sociale che si è rivelato essere una sorta di catalizzatore su più fronti.

L’alba della consapevolezza internazionale dei mali dell’inquinamento, l’accettazione generale della nuova pillola anticoncezionale, il periodo di massimo splendore della satira televisiva. La ricordo quella trasmissione intitolata “TWTWTW” (That Was The Week That Was), una sorta di “Striscia la notizia” avanti lettera, l’ascesa fulminea dei Beatles e, soprattutto, lo scandalo a fuoco lento dell’affare Profumo, tutti quegli eventi che caratterizzarono quell’anno fatidico.
Tutto concorse senza dubbio a cambiare non solo l’Inghilterra, anzi il Regno Unito. Questo libro mi ha dato l’opportunità di ripensare e rivivere alcuni momenti di cui ha scritto la Nicolson. Riguardano non solo la realtà della sua memoria, ma anche quella mia. Ma questo è un discorso che farò un’altra volta. ( )
  AntonioGallo | May 14, 2021 |
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