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Il computer di sant'Agostino e altri saggi

por Alberto Manguel

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Caro Manguel,
cerco ancora libri in formato b42 e con il loro odore di carta, inchiostro, ... e m’immagino Sant’Agostino camminare riflettendo (ad alta voce) su libri sfogliati, ri-sfogliati, o svolti, percepiti, toccati, …

Un motto per Sant’Agostino: ‘nibble’ (digital technology) noli me tangere!

Mi viene in mente il moralista Joseph Joubert, di cui Chateaubriand descrisse le abitudini di lettura:
Quando leggeva, strappava dai libri le pagine che non gli piacevano, e andava cosi’ formando una biblioteca personale fatta di volumi sventrati tenuti assieme da copertine troppo abbondanti.
(20)

...i lettori sanno che perlomeno esiste qua e la’ qualche angolo sicuro, reale come la carta e rinvigorente come l’inchiostro, che ci offre riparo e ristoro mentre attraversiamo il bosco buio e senza nome. (21)



( )
  NewLibrary78 | Jul 22, 2023 |
Passi da un libro straordinario!

"Quando avevo otto o nove anni, in una casa che ormai non esiste più, mi fu regalata una copia delle Avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie e Attraverso lo Specchio. Come molti altri lettori, ho sempre avuto la sensazione che l'edizione in cui si legge un libro per la prima volta rimanga, per il resto della vita, quella originale. La mia, grazie al cielo, era impreziosita dalle illustrazioni di John Tenniel ed era stampata su carta spessa color crema che odorava misteriosamente di legna arsa.
C'erano parecchie cose che non capivo in quella mia prima lettura di Alice, ma non sembrava avere grande importanza. Imparai in tenerissima età che, salvo si legga per scopi diversi dal puro piacere (come tutti a volte dobbiamo fare a causa dei nostri peccati), si può tranquillamente volare rasentando perigliosi acquitrini, farsi strada in giungle intricate, saltare d'un balzo solenni e monotone pianure, e lasciarsi semplicemente trasportare dalla vigorosa corrente del racconto. Alice, che non vedeva l'utilità di un libro «senza figure e senza dialoghi», sarebbe stata senz'altro d'accordo.

Per quanto ricordi, quelle avventure mi sembrarono un vero e proprio viaggio nel quale io stesso accompagnavo la povera Alice. Cadere nella buca del coniglio e attraversare lo specchio non erano che inizi, banali e meravigliosi quanto salire su un autobus. Ma il viaggio! A otto o nove anni, la mia incredulità non era tanto sospesa quanto ancora inesistente, e la narrazione a volte mi sembrava più vera della vita di ogni giorno. Non che pensassi che un posto come il Paese delle Meraviglie esistesse davvero, ma sapevo che era fatto della stessa materia della mia casa e della mia strada, dei mattoni rossi della mia scuola.

Un libro cambia ogni volta che lo leggiamo. Quella prima Alice di quando ero bambino fu un viaggio, come l' Odissea o Pinocchio, e io mi sono sempre sentito più un'Alice che un Ulisse o un burattino di legno."

---

"Da sempre chi sta al potere guarda con scarso entusiasmo alla lettura. Non a caso nel Settecento e nell'Ottocento furono varate leggi per proibire agli schiavi di imparare a leggere, perfino la Bibbia, visto che, come giustamente si obiettava, chi sa leggere la Bibbia sa anche leggere un trattato abolizionista. Gli sforzi e gli stratagemmi escogitati dagli schiavi per imparare a leggere sono prove più che sufficienti del nesso esistente tra libertà civile e potere del lettore, e della paura che quella libertà e quel potere fanno a governanti di ogni sorta.
Ma nella cosiddetta società democratica, prima ancora di considerare la possibilità di imparare a leggere, le leggi devono soddisfare una serie di bisogni fondamentali: il cibo, la casa, la salute. In un vibrante saggio su società e apprendimento, commentando gli sforzi della repubblica per diffondere il sistema scolastico obbligatorio in Italia, Collodi dice: «Secondo me, finora abbiamo pensato di più al cervello che allo stomaco delle classi bisognose e sofferenti. Pensiamo ora un po' più allo stomaco». Pinocchio, che non era estraneo alla fame, ha chiaro in mente questo bisogno primario. Immaginando quello che potrebbe fare se possedesse centomila monete e diventasse un ricco gentiluomo, si augura un bel palazzo con una libreria «tutta piena di canditi, di torte, di panattoni, di mandorlati e di cialdoni colla panna». I libri, come Pinocchio sa bene, non riempiono uno stomaco vuoto. Quando i suoi cattivi compagni gli lanciano addosso i libri con una mira così imprecisa da farli cadere in mare, frotte di pesci corrono a fior d'acqua, ma dopo aver assaggiato qualche pagina inzuppata, la risputano subito, pensando: «Non è roba per noi: noi siamo avvezzi a cibarci molto meglio!».

In una società in cui i bisogni elementari dei cittadini rimangono insoddisfatti, i libri sono un magro nutrimento; se usati in modo sbagliato, possono essere addirittura letali. Quando uno dei ragazzi scaglia un grosso manuale di aritmetica contro Pinocchio e, invece di colpirlo, centra un altro ragazzino alla testa, lo uccide. Inutilizzato e non letto, il libro è un'arma mortale.

Ma se, da un lato, la società appronta un sistema per soddisfare i bisogni primari e per introdurre l'obbligatorietà scolastica, dall'altro offre al contempo a Pinocchio distrazioni da quel sistema e la lusinga di svagarsi senza sforzi. Queste distrazioni si presentano dapprima sotto le spoglie del Gatto e della Volpe che avvertono Pinocchio che è stata la scuola a renderli rispettivamente cieco e zoppa, e poi con la creazione del Paese dei balocchi che Lucignolo, l'amico di Pinocchio, descrive in modo così allettante:

Lì non vi sono scuole: lì non vi sono maestri: lì non vi sono libri... Ecco un paese, come piace veramente a me! Ecco come dovrebbero essere tutti i paesi civili!

Giustamente Lucignolo associa i libri alla fatica e la fatica (nel mondo di Pinocchio come del resto nel nostro) ha assunto un significato negativo che non sempre ha avuto in passato. L'espressione latina, «per ardua ad astra», attraverso le asperità raggiungiamo le stelle, è quasi incomprensibile a Pinocchio (come a noi) perché pensiamo di poter ottenere tutto con il minimo sforzo possibile.

Ma la società non incoraggia questa necessaria ricerca di difficoltà, questo arricchimento di esperienza. Dopo che Pinocchio ha affrontato le prime disavventure, ha accettato la scuola ed è diventato un bravo studente, i compagni iniziano a prenderlo in giro, perché è quello che oggi chiameremmo un «secchione» e lo deridono perché «hai parlato come un libro stampato... non ti vergogni a mostrarti tutti i giorni così preciso e così diligente alla lezione?». Il linguaggio consente a chi parla di fermarsi alla superficie del pensiero, di dar voce a slogan dogmatici e a luoghi comuni che dividono il mondo in bianco e nero, di trasmettere messaggi piuttosto che significato, di porre il peso epistemologico su chi ascolta (come nel caso di «capisci cosa voglio dire?»). Ma il linguaggio può anche tentare di ricreare un'esperienza, di dar forma a un'idea, di esplorare in profondità e non soltanto in superficie una rivelazione soltanto intuita. Per gli altri ragazzi, questa distinzione è invisibile. Per loro, il fatto che Pinocchio parli «come un libro stampato» è sufficiente per etichettarlo come emarginato, come traditore, come un recluso nella sua torre d'avorio.

Alla fine la società mette sul cammino di Pinocchio una serie di personaggi che gli fanno da guida morale, come Virgilio, nell'esplorazione dei gironi infernali di questo mondo. C'è ad esempio il Grillo, che Pinocchio schiaccia contro il muro in uno dei primi capitoli e che miracolosamente sopravvive per aiutarlo in seguito; la Fata turchina che all'inizio si presenta a Pinocchio con le sembianze di una bambina dai capelli turchini in una serie di incontri inquietanti; il Tonno, un filosofo stoico che, dopo essere stato inghiottito dal Pescecane, dice a Pinocchio che non possono far altro che «rassegnarsi e aspettare che il Pescecane ci abbia digeriti tutt'e due!...». Ma tutti questi maestri abbandonano Pinocchio alla sua sofferenza, incapaci di fargli compagnia nei momenti bui e di smarrimento. Nessuno di loro gli insegna a riflettere sulla propria condizione, nessuno lo incoraggia a capire che cosa significhi quel suo desiderio di «diventare un ragazzo». Come se recitassero una tiritera dai libri di testo, incapaci di sollecitare interesse per le letture personali, queste figure autorevoli si preoccupano soltanto della parvenza accademica dell'istruzione, in cui l'attribuzione dei ruoli maestro/allievo dovrebbe bastare per realizzare l'«apprendimento». Come maestri sono inutili, perché credono di dover rendere conto soltanto alla società e non all'allievo.

Nonostante tutti questi ostacoli – distrazioni, scherno, abbandono – Pinocchio riesce a salire i primi due gradini della scala dell'apprendimento prevista dalla società: impara l'alfabeto e impara a leggere un testo almeno superficialmente. E lì si ferma. I libri diventano luoghi neutri dove esercitare questo codice appreso per trarne alla fine una morale convenzionale. La scuola lo ha preparato a leggere la propaganda.

Non avendo imparato a leggere in profondità, a entrare nel libro per sondarne i limiti talvolta irraggiungibili, Pinocchio ignorerà per sempre che le sue avventure hanno profonde radici letterarie. La sua vita (anche se non lo sa) è in realtà una vita letteraria, un mosaico di storie antiche nelle quali un giorno forse riuscirà a riconoscere la propria biografia (quando saprà leggere sul serio). E questo è vero per ogni lettore maturo. Le avventure di Pinocchio riecheggiano una moltitudine di voci letterarie. È un libro sulla quest di un padre che cerca un figlio e di un figlio che cerca un padre (la trama secondaria dell' Odissea che avrebbe poi scoperto Joyce). È un libro sulla ricerca di se stessi, come nella metamorfosi fisica dell'eroe dell' Asino d'oro di Apuleio e nella metamorfosi psicologica del Principe Hal nell' Enrico IV; è un libro sul sacrificio e sulla redenzione come vengono narrati nelle storie della Vergine Maria e nelle saghe dell'Ariosto; è un libro sui riti di passaggio archetipici, come nelle fiabe di Perrault (che Collodi tradusse), e nella terrena Commedia dell'Arte; è un libro sui viaggi nell'ignoto, come nelle cronache degli esploratori del Cinquecento e in Dante. Ma poiché Pinocchio non considera i libri come fonti di rivelazione, i libri non riverberano su di lui l'immagine della sua esperienza. Vladimir Nabokov, insegnando ai propri studenti a leggere Kafka, sottolineava che l'insetto in cui si trasforma Gregor Samsa è in realtà uno scarafaggio alato, un insetto che sulla schiena, sotto la corazza, nasconde le ali e che, se soltanto Gregor le avesse scoperte, gli avrebbero consentito di volare via. E poi Nabokov aggiungeva: «Sono molti i Dick e le Jane che crescono come Gregor, ignorando di avere ali per volare».

Nemmeno Pinocchio l'avrebbe saputo se fosse capitato nella Metamorfosi. L'unica cosa che sa fare, dopo aver imparato a leggere, è scimmiottare il linguaggio del testo. Assimila le parole scritte sulla pagina, ma non le digerisce: non fa veramente propri i libri perché, giunto alla fine delle sue avventure, ancora non è in grado di applicarli all'esperienza che ha di sé e del mondo. L'aver imparato l'alfabeto lo porta, nel capitolo finale, a nascere con un'identità umana e a guardare al burattino che era con soddisfazione divertita. Ma nel volume che Collodi non scrisse mai, Pinocchio deve ancora affrontare la società con una lingua immaginativa che i libri avrebbero potuto insegnargli attraverso i ricordi, le associazioni di idee, l'intuizione, l'imitazione. Girata l'ultima pagina, Pinocchio è finalmente pronto per imparare a leggere.

L'esperienza della lettura superficiale di Pinocchio è esattamente opposta a quella di un altro eroe (o meglio eroina) errante. Nel mondo di Alice, il linguaggio ritorna alla sua ricca ed essenziale ambiguità, e ogni parola (Humpty Dumpty docet) può significare quello che il parlante vuole che significhi. Anche se Alice rifiuta queste ipotesi tanto arbitrarie («Ma "piglia su e porta a casa" non è proprio come dire "ecco un argomento che ti stende"» obiettò Alice), questa epistemologia spicciola è la norma nel Paese delle Meraviglie. Se nel mondo di Pinocchio il significato di una storia stampata è privo di ambiguità, nel mondo di Alice il significato di «Jabberwocky», tanto per fare un esempio, dipende dalla volontà del lettore. (Sarà qui utile ricordare che Collodi scriveva nel periodo in cui la lingua italiana si andava formando ufficialmente per la prima volta, attingendo da svariati dialetti, mentre l'inglese di Lewis Carroll era una lingua ormai «codificata» da molto tempo, che poteva quindi essere smontata e messa in discussione con una certa tranquillità.)

Quando parlo di «imparare a leggere» (nel senso più pieno a cui accennavo prima), intendo dire qualcosa che sta tra questi due stili o filosofie. Pinocchio reagisce alle costrizioni della scolastica che era stato il metodo di apprendimento ufficiale in Europa fino al Cinquecento. Nella classe scolastica, lo studente imparava a leggere come imponeva la tradizione, in base a commentari fissi accettati dalle autorità. Il metodo Humpty Dumpty è un'esasperazione delle interpretazioni umaniste, un punto di vista rivoluzionario secondo cui ogni lettore deve confrontarsi con il testo alle proprie condizioni. Umberto Eco restringe opportunamente questa libertà e nota che «i limiti dell'interpretazione coincidono con i limiti del senso comune», al che, ovviamente, Humpty Dumpty avrebbe potuto replicare che ciò che è senso comune per lui può non esserlo per Eco. Ma, per la maggior parte dei lettori, la nozione di «senso comune» mantiene una certa chiarezza condivisa che deve bastare. «Imparare a leggere» significa dunque acquisire gli strumenti per appropriarsi di un testo (come fa Humpty Dumpty) e partecipare anche all'appropriazione fatta da altri (come avrebbe potuto suggerire il maestro di Pinocchio). In questo terreno scivoloso tra appropriazione e riconoscimento, tra identità imposta dagli altri e identità scoperta da soli, si colloca, credo, l'atto della lettura."




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  AntonioGallo | Sep 24, 2020 |
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