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Cargando... Incubus (1964)por Giuseppe Berto
Italian Literature (65) Cargando...
Inscríbete en LibraryThing para averiguar si este libro te gustará. Actualmente no hay Conversaciones sobre este libro. “Nunc dimittis servum tuum domine” Come da citazione finale del libro, riportata nel titolo, il lungo viaggio di Giuseppe Berto tra le mille e una disperazione arriva alla fine con una rimessa senza condizioni, guarito ormai dal male che lo ha afflitto e lungamente accompagnato. La soluzione dei suoi problemi, era, come logico che fosse, nel suo cervello, serviva solo trovare la persona giusta che lo costringesse a fare i conti con un passato scomodo da ricordare, che a dirla così, poteva anche sembrare una cosa facile… E invece facile non lo è stata manco per niente, è stata invece una lettura veramente difficoltosa a causa in primis dello stile di scrittura adottato dall’autore, con scarsa punteggiatura e tirate periodiche da lasciare senza fiato, e poi per la costruzione particolareggiata della sua tragedia personale che, va chiarito subito, è di grande interesse e non scende mai nella pedanteria né fa lo sbaglio di estremizzare il tutto sulla sua persona, ma che comunque rimane dichiaratamente complessa. Il racconto prende il via da quello che è in realtà la causa di tutto, con la prima parte del libro dedicata, in maniera capillare, all’incredibile odissea nevrotica che accompagna Berto, avvolgendolo con una spirale, lenta ma costante, che tocca il culmine con le sconvolgenti pagine dove ormai sembra che il suo destino di pazzia debba compiersi in maniera inesorabile, e sono queste pagine che lasciano un segno veramente doloroso su tutta la storia. Dall’apoteosi del dolore si passa, nella seconda parte del libro, al ritorno alla vita, con la paziente ricostruzione di un passato che nasconde in se il germe della nevrosi e delle sue fobie. Lettura faticosa, ma comunque avvincente e finanche, pur nella sua tragicità, con qualche spunto comico. L’interminabile lunghezza dei periodi sembra voluta da Berto per coinvolgere il lettore nel suo dramma, trasportandolo nello stesso vortice che sta ingoiando lui senza dar modo che se ne renda conto; ma è la disperazione che tiene banco in maniera più che efficace nel suo lungo racconto, una disperazione che spesso assume i toni cupi della tragedia davanti a quello che tutti abbiamo paura di affrontare: i piccoli e grandi mostri annidati nella nostra mente, mostri che, Giuseppe Berto, in questo caso, è riuscito a concretizzare e a liberarsene, pur senza parlare di lieto fine visti gli anni sacrificati a questi idoli, oscuri come l’ambiguo male che rappresentano… A very unusual novel with a highly polished and extremely idiosyncratic style that has survived amazingly well the test of time (meaning: a neurotic Italian in 2008 could easily write as Berto's neurotic character in 1964 where the same is probably not true of a non-neurotic Italian in 1964 and 2008 respectively). Berto also has a way to meander between personal micro-preoccupations and cosmic themes in a way that comes across as completely genuine and non-pretentious. The final chapter, for example, is one of the least sentimental and most convincing depictions of the theme of personal surrender to death that I have ever encountered. This book was on an assigned summer reading list for my first year high school class in 1980. I didn't read it then but I am now very surprised that our teacher would have put it on the list, due to its frank discussion of sexuality. sin reseñas | añadir una reseña
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Google Books — Cargando... GénerosSistema Decimal Melvil (DDC)853.914Literature Italian Italian fiction 1900- 20th Century 1945-1999Clasificación de la Biblioteca del CongresoValoraciónPromedio:
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Giuseppe Berto scrive il suo capolavoro in due mesi, dopo essersi rifugiato a Ricadi, a Capo Vaticano, il solo luogo in cui trova conforto e riparo. Nasce da un flusso continuo di pensieri, che si susseguono senza pause, senza punti per pagine e pagine ed è come entrare a diretto contatto con la nevrosi: un caso letterario unico, nonostante i precedenti illustri, Gadda e Svevo. Bepi, come veniva chiamato dagli amici, nasce a Mogliano Veneto nel 1914. La sua giovinezza, complice anche la difficile condizione economica della famiglia, la trascorre nell’esercito: parte per la Sicilia e poi volontario per l’Africa, fino al 1943, anno in cui viene fatto prigioniero dagli alleati e condotto in Texas in un campo di concentramento. Nel ’46 rientra in Italia e scrive il suo primo romanzo, Il cielo è rosso, che è un successo internazionale. Ma successivamente, la morte del padre e l’ostilità della critica, che lo stronca e lo snobba, lo portano sull’orlo della sua nevrosi.
Berto passa da una cura all’altra e presta la sua penna al cinema per sbarcare il lunario, finché approda nello studio dello psicanalista Nicola Perrotti, che gli suggerisce di abbandonare ogni cosa e di dedicarsi a una nuova opera letteraria: Il male oscuro sarà figlio di questa analisi. Tra le altre opere, quella più ambiziosa è La gloria, ultimo romanzo di Berto: Giuda Iscariota racconta la storia di Cristo dal suo punto di vista, quello del traditore. Ma è un tradimento d’amore, necessario alla gloria di Dio: accettazione del male, che sembra trovare un senso. Dice Giuda: «Siccome gli uomini sembra non possano fare a meno di crudeltà e ingiustizie, io continuo ad essere la tenebra: colui che tradì, che lo consegnò ai suoi nemici, intorno al quale non si sprecano molte parole». Berto morirà di lì a poco, nel 1978, di cancro, come suo padre. Si consiglia come manuale di formazione agli aspiranti psicoterapeuti.(Almamatto) ( )