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Giuseppe Gioachino Belli (1791–1863)

Autor de Sonetti

82+ Obras 244 Miembros 10 Reseñas 2 Preferidas

Sobre El Autor

Créditos de la imagen: Monument to Belli, Rome. Photo by Flickr user mac_xill.

Obras de Giuseppe Gioachino Belli

Sonetti (1981) 83 copias
La Bibbia del Belli (1974) 13 copias
Sonetti romaneschi (1944) 6 copias
Il Sesto. (1964) 3 copias
Saggi belliani (2000) 2 copias
Trenta sonetti 2 copias
Sonetti (2009) 2 copias
Sonetti 1-324 1 copia
Er papa 1 copia
{I sonetti} 3 1 copia
I Sonetti Volume 4 (1965) 1 copia
I Sonetti Volume 3 (1965) 1 copia
{I sonetti} 4 1 copia
(I sonetti) 2 1 copia
I sonetti III 1 copia
I sonetti II 1 copia
I sonetti I 1 copia
Poesie 1 copia
Cento sonetti 1 copia
I sonetti : 1 1 copia
I Poeti italiani/10 (1993) 1 copia

Obras relacionadas

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Conocimiento común

Nombre canónico
Belli, Giuseppe Gioachino
Nombre legal
Belli, Giuseppe Francesco Antonio Maria Gioachino Raimondo
Fecha de nacimiento
1791-09-07
Fecha de fallecimiento
1863-12-21
Lugar de sepultura
Rome, Italy
Género
male
Nacionalidad
Italy
Lugar de nacimiento
Rome, Italy
Lugar de fallecimiento
Rome, Italy
Lugares de residencia
Naples, Italy
Rome, Italy
Civitavecchia, Italy
Ocupaciones
poet
Biografía breve
Di famiglia modesta, da bambino visse a Napoli, poiché il padre era perseguitato dai francesi che avevano occupato lo stato pontificio. Rimasto assai presto orfano di entrambi i genitori, il Belli dovette cambiare spesso d'impiego, sempre nei settori della computistica e dell'impiego di concetto, ma grazie all'amico poeta Francesco Spada ebbe modo da un lato di iniziare la produzione poetica (inizialmente in lingua italiana) e dall'altro di selezionare i contatti professionali, ricoprendo incarichi via via più importanti. Fu segretario del principe Stanislao Poniatowsky, poi istitutore privato, poi ancora impiegato all'Ufficio del Bollo e Registro. Sposò una donna di diversi anni più matura, recante una dote che gli permise di guardare con minori preoccupazioni alla vita pratica e di dedicare più tempo alla produzione poetica, che intanto prendeva forma tipica nella metrica del sonetto, oltre che all'Accademia Tiberina, cui con lo Spada aveva aderito dopo la scissione dell'Accademia degli Elleni. Dell'Accademia fu segretario e nel 1850 presidente. In questa veste fu responsabile della censura artistica, e come tale si trovò a vietare la diffusione delle opere di William Shakespeare. Morì, nel 1863, a causa di un colpo apoplettico. Aveva disposto nel testamento che tutte le sue opere venissero bruciate, ma il figlio decise di non rispettare la volontà paterna, consentendo invece che fossero conosciute. (http://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe...)

Miembros

Reseñas

7 SETTEMBRE 1791 nasce Giuseppe Francesco Antonio Maria Gioachino Raimondo Belli. Nei suoi 2279 Sonetti romaneschi, composti in vernacolo romanesco, raccolse la voce del popolo della Roma del XIX secolo.

L’inconscio parla romanesco. Quello di Gioachino Belli sembra proprio un caso di doppia personalità. Si «sistema» a 25 anni impalmando una vedova benestante di una decina d’anni più anziana di lui, svolge modesti lavori impiegatizi e si dedica alla poesia e alla letteratura. La morte della moglie ne incupisce il carattere, rendendolo «malinconico e irritabile».

I moti del 1848 lo sconvolgono, spingendolo su posizioni reazionarie, tanto che, nominato censore, esercita la carica con sommo zelo, fiutando ovunque idee sovversive e giungendo a condannare le tragedie di William Shakespeare e i melodrammi di Rossini e Verdi. La sua produzione letteraria in lingua è all’insegna della tradizione arcadica e del conformismo, ma accanto a questa produce più di duemila sonetti in dialetto romanesco, quasi tutti inediti, un grandioso «monumento» alla plebe di Roma, vista con gli occhi e il realismo di chi a quella plebe appartiene.

Un miracolo. Belli diventa un altro, smette i panni del papalino reazionario, per ritrarre con spirito satirico e crudo realismo una società in disfacimento sociale e morale e un mondo popolare miserabile e vitale, sanguigno e spietato, per arrivare a riflettere sulla stessa condizione umana.

È come una protesta che sale dal profondo, un impeto di ribellione spontaneo, istintivo e incontrollato. La produzione dialettale avrebbe dovuto rimanere segreta: nel testamento lascia infatti scritto di bruciare le sue carte. Fortunatamente non avvenne. (Almamatto)

L’anno che Gesucristo impastò er monno,
Ché pe impastallo già c’era la pasta,
Verde lo vorze fà, grosso e ritonno,
All’uso d’un cocommero de tasta.

Fece un zole, una luna e un mappamonno,
Ma de le stelle poi dì una catasta:
Su ucelli, bestie immezzo, e pesci in fonno:
Piantò le piante, e doppo disse: “Abbasta”.

Me scordavo de dì che creò l’omo,
E coll’omo la donna, Adamo e Eva;
E je proibbì de nun toccaje un pomo.

Ma appena che a maggnà l’ebbe viduti,
Strillò per dio con quanta voce aveva:
“Ommini da vienì, sete futtuti”

— — -

La creazione del mondo
L’anno in cui Gesù Cristo impastò il mondo,
che per impastarlo c’era già la pasta,
lo volle fare verde, grosso e rotondo
come un cocomero da assaggiare.

Fece un sole, una luna, e un mappamondo,
ma di stelle, poi, ne fece una catasta:
sopra gli uccelli, le bestie in mezzo, e i pesci in fondo:
piantò le piante, e dopo disse: Basta.

Mi scordavo di dire che creò l’uomo,
e con l’uomo la donna, Adamo ed Eva;
e proibì loro di toccare una mela.

Ma non appena li ebbe visti mangiare,
strillò «per Dio!» con quanta voce aveva:
«Uomini a venire, siete fottuti!».

— — — -

The year Jesus Christ kneaded the world,
The stuff for doing so was already there,
He wanted it to be green, big and round,
Like a ripe water-melon.

He made a sun, a moon and a globe,
And a real multitude of stars:
Birds up, animals midway, and fishes at the bottom:
He planted plants, and then said: “That’s enough”.

I forgot to say that he created man,
And, with man, woman too, Adam and Eve;
And he forbade them to touch a fruit.

But as soon as he saw them eating,
By God, he shouted as loud as he could:
“People to come, you’re in trouble”.

Questa trascrizione popolaresca della creazione del mondo è uno dei primi sonetti di Belli. Venne composto a Terni il 4 ottobre 1831 e dà avvio al filone dei sonetti sugli episodi della Bibbia. La creazione del mondo è descritta con tono favolistico e satirico, come il tiro mancino di un Creatore spinto dalla vendetta.

La prima quartina fa riferimento a due metafore alimentari: pasta e cocomero. Inoltre nei primi due versi Belli utilizza gli errori teologici popolari dove non Dio ma Gesù è l’autore dell’universo che non viene creato dal nulla ma “impastato” da una materia informe, che già era pronta (già c’era la pasta), non creata dunque.

La seconda quartina mostra un Dio giardiniere, all’apparenza benevolo, ma che nell’ultima terzina sentenzia con maligna soddisfazione l’inutilità dello sviluppo futuro del genere umano (l’effetto comico-paradossale è reso attraverso l’immagine di un Dio che, fortemente irritato si lascia andare a gridare con un gran vocione).

Nella Bibbia belliana Dio è un tiranno e persecutore, un Dio che sta sempre dalla parte dei potenti e che manifesta il suo potere con divieti incomprensibili e punizioni eterne, angariando i comuni mortali condannandoli all’immutabilità di una condizione umana misera, ad una vita d’inferno che non cambierà neppure dopo la morte perché proseguirà con l’inferno dell’al di là.

A differenza dei racconti Biblici per Belli gli uomini non hanno nessuna possibilità di redenzione e di riscatto, come declamato da Dio stesso in conclusione del sonetto. Non c’è nessuna speranza di redenzione perché chi dovrebbe operarla è un popolo inetto e spregevole tanto quanto chi lo comanda.

Emerge quindi il radicale pessimismo di Giuseppe Gioacchino Belli che assume sfumature nihiliste.

Sonetto, composto da due quartine e due terzine, a schema ABAB, ABAB, CDC, EDE. (Parafrasando.it)

MEDIUM https://angallo.medium.com/linconscio-che-parlava-romanesco-331aabdd42bf
… (más)
 
Denunciada
AntonioGallo | Sep 7, 2022 |
“Nessuno più capiva l’italiano; / e mentre uno diceva: qua er crivello, / l’altro je dava un secchio d’acqua in mano.” *

* Terzina finale de “Er monno muratore”

Giuseppe Gioachino Belli (1791 – 1863), gran cantore e voce di Roma, ebbe una vasta produzione legata ai molteplici aspetti, civili, religiosi e politici, della città eterna, senza tralasciare altri generi di contenuto boccaccesco e popolano non presenti però in questa selezione.
Questo grande artista della parola, a cui va il merito di aver elevato il componimento dialettale alla pari della grande letteratura di tutti i tempi, produsse circa 2700 sonetti tutti di alta qualità e tutti in dialetto romanesco dell’epoca.
Data la vastità della sua produzione il metodo per una sua migliore conoscenza e fruibilità è, quando possibile, procedere con apposite selezioni sui vari argomenti.
È il caso di questo volumetto del 1974 stampato in 198 esemplari dai tipi della casa editrice Carlo Colombo di Roma, in occasione di uno degli anniversari del poeta, che presenta circa sessanta sonetti raggruppati in argomenti come elencato sopra con tanto di spiegazione e di note belliane.
Da ammirare, rappresentata dal Belli nei suoi versi, è la dissimulazione dei durissimi tempi in cui visse, dove a qualche punta di amaro pessimismo contrappose l’ironia e soprattutto la grande umanità che sempre lo contraddistinse nella vita.

Di seguito due sonetti estrapolati da questa raccolta di cui il primo a tema religioso e il secondo a rappresentare, ieri come oggi, l’amara e perpetua farsa della politica.

L’angeli ribbelli

Letto l’editto, ogn’angelo ribbelle
vòrse caccià lo stocco, e fasse avanti;
ma San Micchele buttò via li guanti,
e cominciò a sparà le zaganelle.

L’angeli allora, coll’ale de pelle,
corna, ugne, e code, tra biastìme e pianti
tommolorno in ner mare tutti quanti,
che li schizzi arrivaveno a le stelle.

Cento secoli sani ce mettèrno
In quel gran capitommolo e bottaccio
Dal paradiso in giù sino all’inferno.

Cacciati li demonj, stese un braccio
Longo tremila mija er Padr’Eterno,
e serrò er paradiso a catenaccio.

Er congresso tosto

Tuttiquanti a palazzo lo vèderno.
Un gran ministro d’una gran potenza
Venne a Roma a parlà con su’ Eminenza
er Segretar-de- Stato de l’isterno

Er cardinale preparò un quinterno
De carta bianca, poi je diede udienza;
e ce tenne una gran circonferenza
sopra a tutti l’affari der governo

Tra loro se trattò der più e der meno;
e scannajorno l’ummido e l’asciutto,
er callo er freddo, er nuvolo er sereno,

arfine er cardinale uprì la porta,
dicenno: “Evviva, è combinato tutto:
ne parleremo mejo un’antra vorta.”
… (más)
 
Denunciada
barocco | May 30, 2017 |
Il volume raccoglie sonetti romaneschi che danno uno sguardo alla vita quotidiana di Roma
 
Denunciada
BiblioLorenzoLodi | Mar 16, 2016 |

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